Ti faccio una domanda:

se domani la tua comunicazione non avesse più la TV,  niente più spot e niente più concessionarie TV, tu cosa faresti?

Non solo come cambierebbe il tuo media mix, ma come dovrebbe cambiare la tua strategia per il fatto di non poter più usare quel media per raggiungere awareness e un grosso target tutto insieme?

So che sembra uno scenario ipotetico e molto lontano, ma nelle ultime settimane, le evidenze a supporto della tesi che la TV classica abbia i giorni contati sono sempre di più.

Amazon ha conquistato i diritti per trasmettere su Prime Video in UK tutti i tornei del circuito ATP battendo Sky che li aveva (come in Italia)

Facebook ha stanziato un budget (si dice di 3 miliardi di dollari) per la produzione di contenuti esclusivi per la sua nuova app “Watch”, la TV “millennial” secondo Facebook.

La maggior parte dei contenuti di qualità veicolati poi via YouTube e via Facebook, non sono remunerati tanto dall’adv. quanto da un meccanismo misto di “pre abbonamento” e “crowdfunding”, reso possibile da Patreon:
https://www.patreon.com/



Anche in Italia la TV diventa sempre meno statica, Sky e Mediaset inaugurano entrambe la “Addressable TV” ovvero una TV con spot dinamici, legati non tanto al programma quanto al decoder: questo sistema è già live su entrambe le tv a pagamento Mediaset Premium e Sky.



PS. di questo tema parleremo nel 2° appuntamento del nuovo ciclo dei Programmatic Breakfast, tutte le informazioni qui:

http://www.programmaticbreakfast.it



La famosa “Asta” per i diritti del calcio in TV (e vale la pena di ricordarlo, sul web) è andata nulla: quasi deserta, con 1/3 delle offerte previste, e per 1/3 dei pacchetti proposti da Infront. Se anche il calcio non è più un business per i broadcaster, cosa lo è?

Questo per non parlare del fatto che ad oggi circa il 28% della TV in USA viene vista in streaming: i programmi sono televisivi ma sono guardati:

  • tramite le app come quella di HBO che a tutti coloro che hanno HBO nel pacchetto consente di vedere gli show tramite la propria app
  • tramite smart TV, smart decoder o device
  • tramite i siti e le app degli stessi broadcaster (CBS, NBC…) che hanno video live ed on demand via web e via app.

According to Broadcasting Cable, a new study by GfK MRI shows that 28% of all TV watching now takes place over digital streaming services.

About 52.6 million American households had Netflix service in May, according to new analysis of Nielsen data obtained by CNBC. Amazon was a distant second with 25.2 million homes subscribing to Prime.

Rif. https://www.cnbc.com/2016/07/21/overwhelming-majority-of-people-watching-streaming-services-still-choose-netflix.html

Quindi la gente vede sempre più video, e sempre più contenuti classicamente televisivi, ma

  • la modalità streaming in abbonamento cambia anche il modello di business sottostante
  • le profilazioni classiche mostrano sempre di più la corda di fronte a pattern di visione sempre più confusi e multi canale

Chi produce o acquista contenuti per vendere in abbonamento, guarda anche ai contenuti con occhio diverso: possiede più dati per valutare la preferenza dei clienti, sa quali contenuti acquistare per fare felici “cluster” di abbonati e non ha bisogno di “audience” per fare revenue, ma abbonati “contenti” (che abbiano un churn rate basso).

Questo scenario rivoluzionario sembra ancora molto lontano ma sappiamo poi che poi quando l’onda del cambiamento arriva, lo fa più in fretta di quello che pensavamo.

Ti ricordi  quello che si diceva del mobile anche solo 5-6 anni fa?
Lo scetticismo sull’effettivo avvenimento del sorpasso del Mobile sul Desktop?

Solo che ora che è successo, ci troviamo con molti inserzionisti impreparati allo scenario in cui il 75% dei first touch di una campagna Adv. avvengono su Mobile.

Quale è la prima cosa da fare quindi?

Il primo passaggio per prepararsi a questo nuovo “mondo” di smart TV, TV connesse, addressable etc. è quello di riesaminare il ruolo dato agli spot nella media strategy.

Così come possiamo fare report di interaction per le conversioni, possiamo fare lo stesso per i “touch” di tutti i media.

Ma per farlo dobbiamo iniziare a misurare non solo il singolo canale ma anche la relazione fra i canali.

Tutti i Brand che investono “multi canale” nel progettare il media mix devono tenere conto dell’impatto cross media della propria visibilità. 

Il che significa farsi domande quali:

Se investo meno in TV (o stampa, o affissione…) poi alla fine diminuiscono anche le ricerche brand su Google?

E’ corretto “attribuire” le conversioni AdWords da keywords brand al “Digital” o una “parte” del merito la devo attribuire ai canali off line? 

E se sì, per quanto tempo le devo contare come “off line”?

In quale percentuale?

Ragionare di attribution model e progettare modelli di attribuzione, significa pensare in ottica di interazione e correlazione fra i diversi touch-point di campagna e di vendita. Significa espandere le dimensioni di dati analizzate.

E significa anche avere gli strumenti, oltre che i dati, per poter fare queste analisi.

A questo serve la DMP, per esempio.

Facendo una grossa semplificazione il Programmatic “full stack” eroga il massimo del suo valore aggiunto quando può aggregare in modo che sia utile al marketing dati di fonti molto diverse come per esempio:

  • sell-in dei negozi,
  • dati di accesso ai punti vendita
  • dati di terza parte,
  • spesa offline (carte fedeltà)

Quello che vuole fare il marketing con questi “dati” è poterli manipolare con software e processi “standard”, in autonomia, e senza richiedere magari di avere delle skill in R, SQL, data analysis… per:

Analisi
prima di tutto per la “attribution” ovvero volgarmente attribuire un valore di ROI ad ogni canale

Insight
per usare la “marketing cloud” per personalizzare e per capire meglio il target

Attivazione
ovvero fare campagne (“passando” i dati alla DSP come istruzioni per il “bid”).

E la Attribution manipola i dati estratti da DMP, Analytics, Point of Sale… per costruire dei veri e propri modelli (nei casi più complessi con l’aiuto di AI, e machine learning) che permettano di misurare

  • l’impatto complessivo di un media mix di campagna
  • l’impatto incrociato fra un media e l’altro.

Se vuoi saperne di più sui Modelli di Attribuzione ti consiglio di scaricare il Paper di Kahuna sui modelli di attribuzione qui:
http://kahuna.guru/guida-rapida-attribution-model/ 

In secondo luogo ci dobbiamo interrogare sui formati.

Già nel 2014 una ricerca globale (Flurry Analytics, Comscore, Q4 2014) ha evidenziato che un utente medio spende 177 minuti connesso via mobile ad internet, in sessioni però della durata di 1 minuto e 10 secondi in media ciascuna. E’ evidente che il mondo dei “micro momenti” è un trend inesorabile che trasforma video, post, spot e banner in briciole di pane di un percorso di “conversione” lungo e tortuoso.

I modelli tradizionali di “tracking” e “analytics” mostrano la corda in questo scenario, sia per le campagne performance, che per misurare l’impatto delle campagne offline sui comportamenti digitali.

Ovvio che in un “micro momento” di complessivi 1 minuto e 10 secondi, li non ci puoi mettere un 30 secondi classico. Per modalità, contesto e perfino per linguaggio di comunicazione, quel formato non è adatto!

Ci mettiamo un 15 secondi?

Meglio. Ma non la declinazione del 30 secondi, perché torniamo al problema fondamentale: il limite non è la durata ma il contesto ed il linguaggio, insieme alla aspettativa del consumatore / target.

Un trend interessante che sta crescendo è quello degli 8 sec. “unskippable” come su YouTube che fanno da teaser (trailer) di una storia più lunga (mediamente di 2 min.); dopo i primi 8 sec. l’utente può saltare, ma se il trailer lo ha interessato, guarderà almeno buona parte della storia complessiva.

E il comportamento di “attenzione” o meno alla storia, può essere recepito dalla piattaforma di programmatic prescelta, e usato per “segmentare” in audience diverse a cui mirare una seconda comunicazione.

Pensalo come una Video story espandibile, te ne mostro un caso che ho trovato molto interessante, una campagna HP sulla sicurezza dei sistemi di lavoro enterprise rispetto agli hacker.

Qui trove tutte le “puntate” (attraverso una DMP venivano proposte solo a chi aveva interagito non saltando):
https://www.youtube.com/watch?v=U3QXMMV-Srs

Un articolo di AdAge sulla campagna
http://adage.com/article/cmo-strategy/hp-warns-dangers-office-printers/307961/

Se vuoi continuare a approfondire il tema dell’utilizzo dei dati, ti consiglio anche di dare un occhio alla Guida Rapida alle DMP di Paolo Serra, che puoi scaricare qui:
http://kahuna.guru/la-guida-rapida-alle-dmp/

Per qualsiasi commento, ovviamente mi puoi scrivere nei commenti qui sotto o su LinkedIn.

Grazie per l’attenzione.

Alla prossima.

AUTORE

Marco Fontebasso

Si occupa di marketing digitale dal 1999, è stato Amm. Delegato della agenzia digital Biquadra (oggi 3rdPlace), fra il 2008 e il 2012 il 1° gestore indipendente di campagne AdWords per volume gestito. In passato è stato resp. Business Development di AltaVista e Resp. advertising di SEMS (oggi FullPlan). Autore di 2 libri sul digital marketing, è stato speaker a conferenze e seminari internazionali.
http://kahuna.guru/
https://www.linkedin.com/in/marcofontebasso