Per la serie il programmatic sotto l’ombrellone, vorrei condividere con voi un pezzo fuori dal normale.

Il motivo? A volte mi viene richiesto che differenza c’è fra quello che proponiamo noi e loro. Bene, per renderlo un po’ più interessante di una spiegazione superficiale, vediamo come funziona Cambridge Analytica.

Cambridge Analytica è specializzata nel raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti: quanti “Mi piace” mettono e su quali post, dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono i loro contenuti e così via.

Queste informazioni sono poi elaborate da modelli e algoritmi per creare profili di ogni singolo utente, con un approccio simile a quello della “psicometria”, il campo della psicologia che si occupa di misurare abilità, comportamenti e più in generale le caratteristiche della personalità. Più “Mi piace”, commenti, tweet e altri contenuti sono analizzati, più è preciso il profilo psicometrico di ogni utente.

COSA SE NE FA CAMBRIDGE ANALYTICA DEI DATI

Oltre ai profili psicometrici, Cambridge Analytica ha acquistato nel tempo molte altre informazioni, che possono essere ottenute dai cosiddetti “broker di dati”, società che raccolgono informazioni di ogni genere sulle abitudini e i consumi delle persone. Ogni giorno lasciamo dietro di noi una grande quantità di tracce su ciò che facciamo, per esempio quando usiamo le carte fedeltà nei negozi o quando compriamo qualcosa su Internet.

Immaginate la classica situazione per cui andate sul sito di Amazon, cercate un prodotto per vederne il prezzo, poi passate a fare altro e all’improvviso vi trovate su un altro sito proprio la pubblicità di quel prodotto che eravate andati a cercare. Ora moltiplicate questo per milioni di utenti e pensate a qualsiasi altra condizione in cui la loro navigazione possa essere tracciata. Il risultato sono miliardi di piccole tracce, che possono essere messe insieme e valutate.

Le informazioni sono di solito anonime o fornite in forma aggregata dalle aziende per non essere riconducibili a una singola persona.

Cambridge Analytica dice di avere sviluppato un sistema di “microtargeting comportamentale”, che tradotto significa: pubblicità altamente personalizzata su ogni singola persona. I suoi responsabili sostengono di riuscire a far leva non solo sui gusti, come fanno già altri sistemi analoghi per il marketing, ma sulle emozioni degli utenti. Se ne occupa un algoritmo sviluppato dal ricercatore di Cambridge (da qui il nome dell’azienda) Michal Kosinski, che da anni lavora per migliorarlo e renderlo più accurato. Il modello è studiato per prevedere e anticipare le risposte degli individui.

KOSINSKI SOSTIENE CHE SIANO SUFFICIENTI INFORMAZIONI SU 70 “MI PIACE” MESSI SU FACEBOOK PER SAPERE PIÙ COSE SULLA PERSONALITÀ DI UN SOGGETTO RISPETTO AI SUOI AMICI, 150 PER SAPERNE DI PIÙ DEI GENITORI DEL SOGGETTO E 300 PER SUPERARE LE CONOSCENZE DEL SUO PARTNER.

CON UNA QUANTITÀ ANCORA MAGGIORE DI “MI PIACE” È POSSIBILE CONOSCERE PIÙ COSE SULLA PERSONALITÀ RISPETTO A QUANTE NE CONOSCA IL SOGGETTO.

OK, MA FACEBOOK COSA C’ENTRA?

Per capire il ruolo di Facebook nella vicenda dobbiamo fare qualche passo indietro: fino al 2014, anno in cui un altro ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, realizzò un’applicazione che si chiamava “thisisyourdigitallife” (letteralmente “questa è la tua vita digitale”), una app che prometteva di produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività online svolte. Per utilizzarla, gli utenti dovevano collegarsi utilizzando Facebook Login, il sistema che permette di iscriversi a un sito senza la necessità di creare nuovi username e password, utilizzando invece una verifica controllata da Facebook. Il servizio è gratuito, ma come spesso avviene online è in realtà “pagato” con i dati degli utenti: l’applicazione che lo utilizza ottiene l’accesso a indirizzo email, età, sesso e altre informazioni contenute nel proprio profilo Facebook.

L’applicazione di Kogan fece in tempo a raccogliere i dati sulle reti di amici dei 270mila suoi iscritti, arrivando quindi a memorizzare informazioni di vario tipo su 50 milioni di profili Facebook.
I problemi sono nati, quando Kogan ha condiviso tutte queste informazioni con Cambridge Analytica, violando i termini d’uso di Facebook.

MA CAMBRIDGE ANALYTICA NON È L’UNICA SOCIETÀ A CUI PIACEVA IL GIOCHINO

Sembra infatti che un’altra azienda AggregateIQ, una società canadese di elaborazione di dati per la politica, attiva nella gara presidenziale degli Stati Uniti del 2016, per il senatore Ted Cruz, così come per il governatore repubblicano del Texas Greg Abbott, e altri partiti e persone, abbia usato gli stessi mezzi per manipolare le elezioni.

Ma… e qui veniamo al punto, come diventare Cambridge Analytica? Semplice, hanno lasciato aperto a tutti il loro database di strumenti, gitlab.aggregateiq.com.

All’interno di questo repository viene rivelato un insieme di applicazioni sofisticate, programmi di gestione dei dati, advertising trackers e database di informazioni che collettivamente potrebbero essere utilizzati per indirizzare e influenzare gli individui attraverso una varietà di metodi, tra cui chiamate telefoniche automatizzate, e-mail, siti web politici, ricerca di volontari e annunci su Facebook. Tra questi strumenti sono anche esposti numerose credenziali, chiavi, hash, nomi utente e password per accedere ad altre risorse AIQ, tra cui database, account di social media e repository di Amazon Web Services, aumentando la possibilità di attacchi da parte di eventuali attori malintenzionati che si imbattono nel database.

ORA, SCOMMETTO CHE SIETE TUTTI ANDATI A VEDERE COSA C’È SU GITLAB.AGGREGATEIQ.COM PER DIVENTARE TUTTI DEI PICCOLI “CAMBRIDGE ANALYTICA” BIRICCHINI 😉

No, non troverete nulla, la società appena si è accorta dei molti accessi a chiuso tutto, purtroppo anche il sottoscritto è arrivato in ritardo.

ALLORA QUAL’È LA DIFFERENZA FRA NOI E LORO?

Anche noi possiamo elaborare i mi piace su Facebook, anche noi utilizziamo abitualmente nelle nostre campagne i cosiddetti dati di terze parti, anche noi possiamo fare le loro stesse cose, ma, e c’è un grosso ma, loro per farlo hanno usato degli strumenti fraudolenti, ottenuti con la creazione di finte applicazioni al solo fine di registrare dati, noi e chi fa il nostro mestiere i dati li ottiene lecitamente tramite diretta e volontaria accettazione delle condizioni.

Inoltre lo scopo non ha nulla di malevolo, ma serve come per tutte le campagne di marketing e pubblicità a rendere più efficace la comunicazione, permettendo di sprecare meno soldi, potendo identificare con maggior precisione i possibili acquirenti del servizio o prodotto che si sta vendendo, piuttosto che mostrare la stessa pubblicità a caso a tutti, buttando via metà del budget mostrando la pubblicità a persone che non sono interessate all’acquisto.

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AUTORE

Paolo Serra

Appassionato di nuove sfide per far crescere le imprese, con l’obiettivo di contribuire ad aumentarne i ricavi. Si dedica al search engine marketing dal 1999, lavorando con le principali agenzie internazionali. In seguito, allarga le conoscenze al mondo del Programmatic Advertising, diventandone uno dei maggiori esperti italiani, tanto da aver aperto il blog Programmatic RTB, ed è fondatore di Kahuna, la prima agenzia specializzata nel programmatic advertising.

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