Una delle mie passioni non tanto segrete sono le serie TV, e una delle mie sit com preferite è “How I met your mother”. Forse la conosci, forse no, ma una delle “catch frase” (tormentone) di Barney Stinson, ovvero uno dei protagonisti è: “true story”!

OK nel suo caso, molto spesso, in verità le storie non sono così “true”…

Ma in questo caso io invece voglio raccontarti una storia vera, cioè una situazione reale in cui ci siamo trovati a dover consigliare quale “stack” montare per un cliente nel creare il suo approccio iniziale al Programmatic.

Per “stack” nell’IT si intende (in senso strettamente tecnico) un modo di usare / rappresentare / gestire i dati, ma il termine ha preso un significato gergale ben descritto così in questo articolo:

“Stack,” in technological terms, can mean a few different things, but the most relevant usage grew from the start-up world:
– A stack is a collection of different pieces of software that are being used together to accomplish a task.

A smartphone’s software stack, for instance, could be described as a layered structure:
– There’s the low-level code that controls the device’s hardware,
– and then, higher up, its basic operating system,
– and then, even higher, the software you use to message a friend or play a game.

(Rif. http://nyti.ms/2wzRWy4)

Quello che è emerso durante le prime fasi di scambio di informazioni con il cliente è che stavano valutando di portare su “programmatic” tutto il loro media buying, ed avendo una agenzia “SEM” presso HQ (sede centrale) c’erano state una serie di raccomandazioni (anche da parte di Google) per passare a Doubleclick.

Mentre documentandosi direttamente, avevano compreso che sarebbe stato più utile centralizzare in una “marketing cloud / DMP” la gestione dei dati, dato che:

  • la loro reach globale sul target è abbastanza elevata nell’arco di 1 anno
  • il tasso di conversione verso la trial non è molto alto
  • c’è uno step fra trial “free” e versione completa a pagamento.

Diventa quindi chiave per loro poter “identificare” il singolo utente contattato sui vari canali così da sapere da quali campagne è già stato raggiunto, da quali messaggi, quali dati (espliciti o osservati) sono stati raccolti durante questo periodo.

Non posso dirti il nome di questo cliente, per motivi di riservatezza, ma per farti meglio capire la storia ti posso dire che è:

  • un Saas (software as a service) che integra diversi diversi utili ad uno specifico target B2B (small business)
  • è una multinazionale europea
  • “vende” (attiva gli account) online
  • eroga il servizio tramite web, mobile web, ed app native.

Quello che segue, è una versione “redatta” di quello che ci siamo detti con loro, e per finire di quanto gli abbiamo raccomandato di fare a livello di:

  • tool
  • tempi
  • processi.

In base ai dati che ci hanno inviato (un budget mensile fra i 50.000 e i 100.000 Euro per 6 paesi UE), anche se il budget indicato fosse stato per Country e non totale (quindi il budget EU fosse in tot. nel range 5-7 milioni di Euro / anno, cosa che non credo, ma magari lo diventerebbe) abbiamo esordito con una raccomandazione che può sembrare “assurda” arrivando da noi:

Gli abbiamo decisamente sconsigliato di sposare una soluzione Programmatic full stack “proprietaria”, quindi con le classiche:

  • Marketing Cloud
  • DMP
  • DSP
  • etc.

Perché mi chiederai?

La ragione è per prima cosa nei canali utilizzati che in questo caso sono:

  • offline (eventi, presentazioni, PR…)
  • Google
  • Facebook
  • Poco Display e per la maggior parte erogato tramite Google AdWords.

Inoltre, e forse ancora più importante, per il tipo di “Interazione Utente” che la loro “vendita” genera, che è al 100% digitale (ovvero su web, o app).

Dovendo fare una semplificazione (un po’ grossolana) ma per iniziare a capirci, una DMP eroga il massimo del suo valore aggiunto quando devi aggregare in modo che sia utile al marketing dati di fonti molto diverse come per esempio:

  • sell-in dei negozi,
  • dati di accesso ai punti vendita
  • dati di terza parte,
  • spesa offline (carte fedeltà)

Cosa ci fai poi con quei dati?

Quello che poi vuole fare il marketing con questi “dati” è poterli manipolare con software e processi “standard” e senza richiedere magari di avere delle skill in R, SQL, data analysis… per:

Analisi
prima di tutto per la “attribution” ovvero volgarmente attribuire un valore di ROI ad ogni canale

Insight
per usare la “marketing cloud” per personalizzare e per capire meglio il target

Attivazione
ovvero fare campagne (“passando” i dati alla DSP come istruzioni per il “bid”).

Nel caso “100% digital” (app, ma anche shop), solitamente questo tipo di attività ha meno peso, che invece è fondamentale per Brand, Retailer multi canale… (solo per fare 2 esempi).

In più nel caso in questione aggiungerei altre 2 considerazioni:

  • c’è poco poco interesse ad usare dati di terza parte (il classico sono gli acquisti precedenti per segnalare “intent” e non mi pare un caso rilevante per quel tipo di Saas)
  • sbilanciamento verso canali digitali “chiusi”.

Cosa vuol dire canali chiusi?

Come tu, e molti altri lettori, avrai capito, anche da Google, far uscire le informazioni che tipicamente raccoglieresti con la DMP da AdWords, dall’Ad Exchange di Google (quindi da Doubleclick) è pressoché impossibile, al di là dei report che vedi in AdWords o in Doubleclick non ci sono altri dati che siano reperibili.

Ma soprattutto non puoi “riconoscere tu” il singolo utente (è esattamente contro le policy di ogni prodotto di Google) per portare questa informazione all’interno della tua marketing cloud / DMP. Puoi applicare qualsiasi regola, combinazione e sofisticazione di audience (già in AdWords) ma non puoi “estrarre” dati che non siano sulle tue property.

In più per passare a Doubleclick, ti devi portare a casa la tassa di usare la loro DSP (il bid manager) che se per caso non lo sapessi, solitamente costa il 15% del budget che transita da lì. Questo è il motivo paradossale per cui nonostante esista “Doubleclick for Search” molti clienti tengono Doubleclick isolato solo per il Display, per non tassare del 15% i loro bid sulla Search.

Per Facebook il problema nemmeno si pone, di reazioni (viewability, audience building sul tuo cookie) non se ne parla proprio, è un sistema chiuso e anche lì puoi fare mille sofisticazioni ma non portare dati alla DMP.

Le 2 cose che Facebook ha aperto sono:

  1. Audience Network (la sua “rete Display) ad alcuni Ad Exchange (per es. App Nexus)
  2. Atlas, per usare i dati sugli utenti come qualificatori di terza parte (https://atlassolutions.com/).

Sono però 2 cose molto nuove, non è che ci sia in giro poi tanto know how sul come usarli, forse nel range dei 5-10 milioni / anno di budget ha senso muoversi per farne parte da subito, ma sotto quelle cifre, proprio non credo. 

COSA PROPORREMMO QUINDI NOI?

La nostra idea, per un caso come quello che ti ho descritto, è di restare ad set-up “molto normale”, che quindi ha Google Analytics come punto centrale, ma sfruttandolo in modo molto più sofisticato di come si faccia mediamente, in particolare:

  • metriche di conversione intermedia (come il “cost per user engaged” di cui in Kahuna parliamo spesso)
  • definizione ad hoc dei “canali” e “mezzi” per l’uso in Attribution
  • creazione di modelli di attribuzione personalizzati
  • creazione di “Filtri” per creare “Dimensioni” di reporting quali “Tipi” di pagine.

Questo ultimo punto è molto importante per creare delle “Canalizzazioni” efficaci (degli imbuti misurabili) anche fuori dal contesto e-commerce per cui la funziona è pre-creata in modo efficace.

A seguire.

1. valutare di passare non tanto a Doubleclick quando a Google Audience 360

Ovvero un ibrido fra Analytics e DMP di Google, proprietario, sulla quale occorre farsi fare una offerta, ma se devo pagare per qualcosa, per questo potrebbe avere senso, anche solo per il supporto nel risolvere i problemi di tracciamento (vedi sotto).

Per saperne di più su cosa è e come funziona, lo trovi qui:
https://www.google.com/analytics/360-suite/

Doubleclick con questo tipo di budget e senza usare tanto il Display (YouTube, Rich Media…) è veramente solo una tassa.

2. mettere ordine nei domini e nel tracciamento

Guardando al processo di SignUp ed ad uno dei sintomo di problemi con i numeri rilevanti (ovvero conversioni totali che non quadrano con gli effettivi account aperti), ci siamo fatti l’idea che ci sia un problema di generazione e attribuzione degli eventi Cross-Dominio.

Per es. succede di solito così:

  • tutti i clienti girano alla iscrizione (come app) su un dominio unico global,
  • ma sono “utenti marketing” dei domini locali
  • non esiste una View o un Filtro che riconcili correttamente gli obiettivi, le interazioni ed i cookies in questo senso…

E’ difficile dare queste risposte da fuori, ma per esperienza il problema spesso si trova essere in una di queste cose.

3. fare 1-2 mesi di “baseline” una volta messo ordine

raccogliere dati sulla piattaforma analytics messa in ordine per almeno 2 “finestre di conversione”, diciamo che se ci vogliono 15gg da prima interaction a “paid”, dobbiamo raccogliere 30gg di dati, e così via

4. nel frattempo ci spostiamo verso un modello di “Inbound” più classico per il Saas

In questo caso Google era gestito con un approccio un po’ “basilare” ovvero

  • ricerca keywords “di settore”
  • landing page
  • call to action

Guardando invece alle best practice internazionali è abbastanza uno standard nella nostra esperienza con i Saas creare un “funnel astratto” multi step, che prima di tutto “crea una audience” programmatica tramite il content marketing, procede POI a dare i messaggi di branding, e infine passa alla call to action.

Questa semplice concatenazione di campagne è fattibile in modo relativamente facile con AdWords, Facebook ed Analytics, ed oltre al Saas è efficace con gli Shop, nel B2B…

5. 3° mesi progettiamo obiettivi + interventi miglioramento

A. solitamente noi in Kahuna chiediamo NOI di avere degli obiettivi di risultato che sono il “budget” da raggiungere

B. elenchiamo le azioni di correttivo da fare, come per es.

  • A/B test delle diverse landing page per step del funnel (e qui ci aiuta il “nuovo” Analytics con “Optimize” ovvero il tool di Visual Website Optimization dinamico integrato)
  • diversi tipi di contenuti per ogni step del funnel
  • interventi sulle campagne

Questo tipo di processo rende molto bene l’idea di cosa vuol dire NELLA PRATICA la massima:

il programmatic non è un canale ma un approccio

Che è un mantra che noi in Kahuna (http://kahuna.guru/) portiamo avanti ormai da diversi mesi, per spiegare come usando un “approccio programmatico” e non solo pedissequamente i tool, si possano ottenere grandi risultati anche senza investire in nuovi tool, o aprire nuovi canali o aumentare i budget…

  • 30% di conversioni in più
  • 20% di CPA in meno

Questi sono i tipi di risultati che abbiamo visto ottenere ai nostri clienti applicando un “approccio programmatico” anche agli strumenti più “tradizionali”, come appunto AdWords, Facebook Ads… (true story!)

Con questo concludo questa case history, e naturalmente cercatemi su LinkedIn se volete saperne di più!

AUTORE

Marco Fontebasso

Si occupa di marketing digitale dal 1999, è stato Amm. Delegato della agenzia digital Biquadra (oggi 3rdPlace), fra il 2008 e il 2012 il 1° gestore indipendente di campagne AdWords per volume gestito. In passato è stato resp. Business Development di AltaVista e Resp. advertising di SEMS (oggi FullPlan). Autore di 2 libri sul digital marketing, è stato speaker a conferenze e seminari internazionali.
http://kahuna.guru/
https://www.linkedin.com/in/marcofontebasso