Il programmatic advertising è diventato un elemento imprescindibile per chi opera nell’industry della pubblicità digitale. E non solo in questa: l’ecosistema attorno all’advertising sta diventando sempre più complesso ma i dati e gli strumenti forniti da questa modalità di compravendita offrono una opportunità unica per aumentare la qualità della comunicazione, erogare annunci a target interessati, diminuire la dispersione e rendere così più efficienti le proprie campagne.
Paolo Serra
Appassionato di nuove sfide per far crescere le imprese con l’obiettivo di contribuire ad aumentarne i ricavi. Si dedica al search engine marketing dal 1999 lavorando con le principali agenzie internazionali. In seguito allarga le conoscenze al mondo del programmatic advertising diventandone uno dei maggiori esperti italiani tanto da aver aperto un sito dedicato all’argomento ormai punto di riferimento per tutti gli addetti ai lavori.
Ti puoi fidare della tua agenzia?
Articolo a cura di Paolo Serra

La fiducia è il fondamento di tutte le relazioni, in particolare quelle d’affari. In teoria le persone che lavorano nel settore sono ben a conoscenza di come funziona il mercato e gli attori che ci lavorano, ma è bene chiedersi se si conosce veramente il lato oscuro di questo mestiere.
Infatti uno dei motivi principali di diffidenza manifestata dalle ricerche pubblicate negli ultimi anni è la trasparenza, che a torto o ragione non viene ritenuta adeguata, rimanendo in un limbo di indecisione fra chi pensa che sia tutto chiaro e limpido e altri che non riescono a togliersi il dubbio amletico “me stanno a frega?”.
In effetti la domanda è tutt’altro che retorica, poiché, se vi capiterà di offrire qualche birra ad un CEO di una qualsiasi grande agenzia potrà capitare che annebbiato dai fumi dell’alcol ammetta che in effetti, quando è dai clienti il primo, primissimo pensiero, non sia come offrire il miglior servizio possibile, ma come fatturare di più per pagare gli stipendi.
Proprio per questo, un rapporto recente, pubblicato dall’Association of National Advertisers (ANA), accende i fari su alcune pratiche che manifestano come troppo spesso ci siano dei conflitti di interesse, che portano a fare scelte sulla gestione delle campagne, che non sono dettate dall’ottenere il miglior risultato per il cliente, ma appunto a “pagare gli stipendi” e a portare a casa bonus più alti.
Una delle pratiche più preoccupanti sono gli sconti riservati, i cosiddetti kickbacks, ovvero soldi che i publisher restituiscono all’agenzia, ma di cui il cliente non sa nulla. Questa è una pratica molto diffusa, anche Google fino a qualche anno fa ne faceva utilizzo, ma proprio per ciò che ho visto a quei tempi la ritengo una pratica veramente dannosa per il mercato, non solo perché un’agenzia “potrebbe” essere spinta a lavorare con un determinato fornitore solo in funzione dei kickbacks ricevuti e non delle performance, ma anche perché ci sono importanti effetti distorsivi sulle proposte fatte ai clienti e su chi vince una gara fra agenzie.
Ad esempio può capitare che un’agenzia proponga al cliente un investimento di 10 è una fee mensile di 2, totale spesa 12, ma arriva un’altra agenzia che gli propone di investire tutti i 12 nella campagna, così il cliente sceglie la seconda perché, in apparenza, “investe più budget nella campagna”. Ora, come guadagnerà la seconda agenzia? Semplice con i kickbacks che a quel punto non essendo trasparenti tenderanno a essere più della fee, proposta dalla prima agenzia. La situazione descritta, l’ho vissuta diverse volte in prima persona, non è pertanto un’ipotesi.
Qui un esempio di schema classo di kickbacks.
In una versione più complessa dello stesso, l’agenzia non vuol apparire come palese benefattrice dei kickbacks.
Secondo il rapporto, le percentuali di kickbacks variano tra il 5% e il 20% e sono spesso legate al volume di spesa pubblicitaria, e anche qui si potrebbe far notare che un comportamento del genere può influenzare le decisioni dell’agenzia su come e dove spendere i soldi.
Inoltre, una delle pratiche più diffuse, ma anche più deleterie è che le agenzie al posto di affidare la campagna al miglior partner, ricordo che non tutti i gestori tecnologici sono uguali, anzi tutt’altro, la affidano SEMPRE, all’agenzia che appartiene allo stesso gruppo che fa da trading desk, con un evidente danno per il cliente.
Pertanto per un cliente la necessità di rivolgersi a persone indipendenti è tutt’altro che secondaria, potrebbe farvi risparmiare migliaia di euro, o magari di più a seconda di quanto investite e in che settore lavorate.
Le agenzie svolgono un ruolo importante nel mondo del marketing. Tuttavia, il loro comportamento potrebbe erodere la fiducia che i marketer ripongono in loro, soprattutto riguardo la trasparenza, sollevano domande ovvie sull’obiettività e il conflitto di interessi.