[vc_row][vc_column][vc_column_text]foto01

Gli esperti considerano l’Italia un mercato più resistente a investire nel Digital Advertising rispetto a qualsiasi altro mercato in Europa (73% contro 66 %). Inoltre per molti uffici marketing è più importante il numero degli utenti che visualizzano il messaggio piuttosto che la qualità (67% vs 44% in Europa).

Il Programmatic ha molte opportunità per chi le sa cogliere a costi molto bassi, a causa della mancanza di concorrenza e soprattutto con costi drasticamente inferiori rispetto al classico display advertising. Tuttavia, le aziende mantengono una maggior resistenza rispetto ai guadagni che potrebbero avere adottando il sistema. Guadagnare un vantaggio competitivo, rispetto ai concorrenti, è ancora la ragione principale per il passaggio al Programmatic, ma molto di sotto di altri mercati (50% in Italia contro il 78% in Europa).

Il paradosso e che in Italia il motivo principale per cui le aziende iniziano a passare una parte del budget media sul Programmatic è dovuto a pressioni esterne piuttosto che a scelte interne e consapevoli.

Secondo alcuni la “mancanza di entusiasmo” nasce dalla paura degli inserzionisti di venir visualizzati su siti indesiderati, ma parte del lavoro di una agenzia è proprio questo, che non succeda.

Estratto dal report è realizzato da Circle Research per conto di AppNexus

foto02

Nel 2015 il mercato del Programmatic in Italia ha messo a segno un ulteriore +113%, raggiungendo il valore di 234 milioni di euro. È quanto rivelano i dati presentati dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano allo IAB Forum 2015.

I tre fattori che hanno spinto la crescita sono stati. Il Video, che attualmente vale già oltre il 20% del totale e la cui avanzata comporta la scelta per gli inserzionisti di utilizzare il Programmatic non più solo per azioni a performance, ma anche per attività di branding. Poi la crescita dei Private Marketplace: col tempo si sta assistendo infatti a un progressivo spostamento dall’open market a modalità di compravendita automatizzata di spazi più “diretta” e selezionata, e questo comporta sia una minore resistenza da parte dei publisher a rendere disponibile in Programmatic la propria inventory, sia una maggiore confidenza da parte degli inserzionisti nel pianificare campagne in modo automatizzato. Terzo il progressivo aumento della qualità degli spazi venduti: oggi per gli editori il Programmatic non è più un modo per monetizzare solo l’invenduto, ma anche la propria inventory premium.

Però l’elemento che rimane aperto è quello del dato e della sua gestione. Resta ancora tanta confusione da parte delle aziende su come utilizzare i dati proprietari, quelli cosiddetti di prima parte, quanto usarli e quanto è giusto spendere per investire nel loro utilizzo. C’è ancora molto da fare per sistematizzare i dati e, infatti, molte aziende pensano di creare DMP proprietarie, sviluppate in collaborazione con partner o di utilizzare DMP esterne, ma integrate con i propri CRM senza trasferimento di dati. Anche perché ancora molte aziende hanno i dati relativi ai propri utenti spacchettati in silos, ed è difficile metterli insieme e dunque comprenderne il reale valore. In pratica la grande sfida per il Programmatic Advertising è essere non più solo pubblicità “automatizzata”, ma anche realmente “data-driven“.

Se vi fà piacere potete leggere anche:

La rivoluzione ha inizio con Facebook DSP

Tu sarai Data Scientist figlio mio

Programmatic Advertising: Top 10 Risorse

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]